domenica 25 settembre 2011

Abbracci


Ci sono abbracci più forti della storia che cercano di contenere.
Abbracci che non dai, che trattieni nei nervi, nei muscoli.
Pericolosi. Restano nascosti nell'ombra del "non si può", riversi nel dubbio del "se poi...".
Allora diventano sorrisi.
E sguardi.

Chi sei non conta,
mi porterai
di tempo in tempo
dove tu sai,
negli occhi dentro
dove vorrai.

Così quei due si dicono in silenzio, scambiandosi lo sguardo da opposti angoli del locale.
Che abbracciarsi è troppo, abbracciarsi è per chi si conosce già. E' un atto di appartenenza.
Viaggiare non è orientarsi, è perdersi. Viaggiare è coprire la distanza tra due sgabelli, una sera che non conta quando. E' dirsi un mondo mentre suona una canzone. Mondo vero o inventato a che serve saperlo, gli occhi dicono la vita come ci pare che sia, non com'è.
Viaggiare è fare medesimo giro tra il bancone e il bicchiere, tra le dita e il non dire, andando al contrario delle mappe consuete del conoscersi.
Manca la coltre di fumo che c'era una volta a nascondere il sorriso che d'un tratto, forse, apparirà. E mancando quel fumo, la bocca splenderà immensa fino al suo punto estremo d'espressione, nuda, indifesa, magnifica.
Ma dopo, non ora. Ora solo gli occhi vanno.
Ora si viaggia tra un sorso di malvasia e fragori di visione.
E c'è la battuta del barista, che si muove complice in quella distanza che ancora resiste tra gli sgabelli, col suo riempire e svuotare e porgere vetro ai clienti.
E c'è una lampada avana che colora la pelle con ambra estiva.
Viaggiare è tuffarsi nello sguardo di qualcuno e farsi portar via, restando in retina come fosse un luogo.
E quei due lo sanno fare.
E sanno che se guardi qualcuno, non sei nel suo passato, non c'eri prima, ma potrai sporcare il suo futuro con la tua faccia vista per caso una sera di festa.
Anche se te ne vai. Anche se mai si ripeterà la stessa scena in medesimo posto.
Sì, questo è andare, quando rubi sguardi per arrivare dove le gambe non potranno mai.
E poi riparti divaricando mète e vie
e poi ritorni a proprietà private di trascorsi.
Ma ora ci son solo due sgabelli e in mezzo l'universo splendido d'un abbraccio trattenuto.

Latitudini di terra che sfiora mare e mare che torna terra quando conviene.
E sei solo in un pub.
Questo è l'andare, dove si muove ciò che sembra stasi.

Esser distanza duttile tra sguardi, in danza alterna di voglie e ritrosie.
E sei solo in un pub.
Questa è l'essenza, dove si è ciò che all'altro sembra.

Sono belli, quei due.
Sanno di complici alleanze da creare, sanno di aromi di birra e di vino, della musica che li avvolge.
Ridono al barista che fa da ponte tra due sponde.
Io li lascio così, sospesi nella possibilità d'una distanza che cede ed avvicina i confini.
Li lascio perché io non c'entro in quello spazio tra due sgabelli, lo osservo soltanto dal mio angolo di mondo.
Esco.
Minaccia un temporale.
La pioggia sta per cadere:
un altro viaggio,
stavolta di cielo
che precipita a terra
e in ogni goccia
l'azzurro scende
e solo resta
negli occhi delle cose.
Tu, nel mezzo, puoi solo bagnarti.

E io l'ombrello non lo voglio.

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