giovedì 27 ottobre 2011

Vagando ancora ...


Perché mi risulti affascinante vorticare nei vari aspetti dell'esistenza, quasi senza appigli e con una costante attrazione verso l'orlo del cambiamento, non l'ho mai spiegato chiaramente a me stessa.

Però quando mi accade, vibro. Ed a me quella vibrazione dà un'energia indescrivibile. Una sottile inquietudine avvolge il basso ventre, una vaga vertigine annebbia la vista ed ecco che tutto ricomincia! La novità mi abbraccia e rapisce, la paura della fine appena avvenuta lascia il posto all'eccitazione di un altro inizio!

E si riparte come marinai, mezzi sbilenchi ed acciaccati, un po' bruciacchiati dal sole ma felici che quel sole ci sia, felici di ripetere nuovamente l'esperienza dell'ignoto. Oh, certo, arriveranno schianti negli scogli, delusioni, schiaffi in faccia e mal di mare... ma io che ci posso fare se quando vedo lo spettacolo meraviglioso del paesaggio, mi dimentico che sto sanguinando per le botte prese? Ed anzi quel sangue mi pare che sgorghi di meno, o anzi sta proprio smettendo di sgorgare.

L'idea che si possa ricominciare un numero infinito di volte, spaziando, mi fa sentire un po' disadatta a questo mondo ma sorella di chi ama sperimentare. Non so opporre resistenza all'onda che trascina. Dovrei, forse, per sopravvivenza, ma non lo faccio. Potrei morirne, lo so, ma sarebbe solo il dono estremo di me stessa, il tributo finale a quella bellezza...



Da me a te.

Dal centro al vertice e ritorno.

Da quiete a vortice ogni giorno.

domenica 23 ottobre 2011

Delle porte

Mi commuove la porta che scricchiola e si apre con difficoltà, la sua voce di ruggine mentre il cardine fa sciopero. 
Mi commuove il fatto che mi faccia entrare lo stesso, pur con quello sforzo. 
Porta che chiudendosi trasforma la stanza in nave, cabina, cellula a sé, spazio chiuso che contiene. 
Porta che aprendosi mi libera e allontana da chi resta.
Sulla porta s'infrangono parole.
Quelle che urliamo prima di sbatterla con forza.
Quelle mute di una preghiera prima che si apra. 
Perché quando bussi e ti dicono "Prego" non è un invito.
Parole mandate avanti per vigliaccheria o rispetto, come soldati stanchi in trincea. 
Ma gli ordini impartiti giacciono nelle fondine, dimenticati da tempo.
E il nemico al di là ha già cambiato faccia. E scenario di guerra.

Delle porte, quel che nascondono e le possibilità che creano. Il fatto che
obblighino la mano all'azione e la fantasia ad accendersi.
Delle porte, la voglia che ho di aprirle nonostante i divieti.
Dico grazie alle porte.
A quel loro mettersi in mezzo ogni volta.

Sonetto, all’ingannevole - Roberto Sanesi



Un calco d’aria. Attorno. E il freddo.
Ci puoi inserire un come, un quando.
Puoi dire io, tu… E spingere la porta
fino a schiacciare l’ombra. E’ ancora
un improbabile noi che vi s’annida:
la differenza, il fra, l’attimo acrobata, la
figura obliqua. Scava. Vi incontri
un forse corpulento, nòcciolo duro. Ora
ti strangola a memoria. Ti avverto.
Se ho visto correre attorno alle tue labbra
lo stercorario in amore, mentendo,
so che non mi ingannavo: era un cògito,
tenera falsa minuscola valanga
fra le chele vibranti di narciso.

giovedì 6 ottobre 2011

il mio essere vegetariana ...

http://www.scienzavegetariana.it/ricette/lista_ricette.php

Gli animali non sono cose da mangiare ma esseri senzienti con la nostra stessa capacità di soffrire, di amare la vita e di avere terrore della morte. Se gli animali non fossero in grado di soffrire, se non avessero paura della morte non fuggirebbero davanti al predatore.
La carne non è un alimento adatto all’essere umano strutturato anatomicamente e fisiologicamente a nutrirsi di frutta, semi e vegetali. Se l’uomo fosse un animale onnivoro avrebbe gli attributi adatti ad inseguire, arpionare, dilaniare la preda, oltre che un apparato digerente adatto a digerire la carne.
La carne è un alimento cadaverico, contiene putrescina, istamina, ammoniaca, adrenalina. Il terrore dell’animale dovuto alla mattazione, le malattie, oltre i molti medicinali somministrati agli animali come sulfamidici, cortisonici, ormoni, antibiotici ecc. che entrano nel metabolismo di chi mangia la carne causano un gran numero di malattie anche tumorali.
Se la carne fosse necessaria alla salute degli uomini come si spiega l’ottima salute dei vegetariani?.
La carne è un alimento estraneo al nostro organismo: abbassa le difese immunitarie lasciandoci inermi di fronte a qualsiasi infezione batterica o virale. Ogni pasto a base di carne sottrae al nostro organismo energia quanto 5 km di corsa.
Un’alimentazione sbagliata abbrevia la vita di un individuo: è come far viaggiare a gasolio un’automobile progettata per far funzionare a benzina. Se l’essere umano si alimentasse secondo la sua natura, come le altre specie animali potrebbe vivere 7 volte il suo periodo di sviluppo, cioè 130 anni, età raggiunta solo dalle popolazioni vegetariane.
Gli allevamenti intensivi inquinano il suolo, le falde acquifere, l’aria oltre che essere causa principale di disboscamento: un hamburger costa 5 mq di foresta.
Un manzo consuma derrate quanto 12 persone. I campi di concentramento e di sterminio non possono essere condannati e maledetti solo se le vittime sono esseri umani e giustificati e benedetti se invece i condannati sono gli animali.
La lunga sofferenza degli animali negli allevamenti intensivi e l’agonia dei trasporti si concludono negli orrori dei mattatoi da dove esce il cibo maledetto.
La carne scatena nell’uomo l’istinto dell’aggressività e della violenza, della sopraffazione del più debole, oltre l’angoscia, l’inquietudine, l’instabilità psichica. Finché l’uomo si alimenterà come gli animali feroci non può che avere la natura degli animali predatori.
Mangiare la carne è un’azione crudele: è come se una razza sentendosi superiore, allevasse noi e i nostri figli a scopo alimentare. Se all’uomo non importa la sofferenza degli animali perché dovrebbe importare agli angeli la sofferenza degli uomini?
L’alimentazione carnea incide in modo pesante sulle finanze individuali, famigliari e collettive. Con il costo di un kg di carne si possono acquistare sostanze vegetali 10 volte superiore.
Solo con l’alimentazione vegetariana è possibile sfamare tutta la popolazione mondiale e scongiurare le tensioni internazionali che nascono da gravi crisi alimentari. I terreni destinati a prodotti vegetali producono un quantitativo 10 volte superiore alla carne.
Rifiutando la carne ci si dispone a vivere secondo la legge dell’amore universale enunciata dai grandi uomini di pensiero e di spirito di ogni tempo e paese che hanno esteso il concetto di prossimo ed il comando non ammazzare dall’uomo ad ogni essere senziente.
Gli animali più forti, più longevi, più prolifici e più miti sono vegetariani. la loro forza sconfessa la teoria che sono le proteine della carne a dare vigore. Da dove traggono questi animali le proteine per formare le loro possenti masse muscolari?
L’alimentazione vegetariana dispone l’essere umano alla mitezza, alla serenità, alla tolleranza, al benessere psicofisico, alla pace. L’uomo è ciò che mangia: se si nutre di violenza e di morte non può che subire gli effetti delle sue azioni secondo la legge di causa-effetto.
Con l’alimentazione vegetariana l’uomo ritorna al piano originale di Dio per l’uomo prima del peccato, secondo il comando di Genesi 1,29: “Ecco, io vi do ogni erba che produce seme ed ogni albero in cui è frutto saranno il vostro cibo...” Se Dio avesse autorizzato l’uomo a mangiare la carne trascurando la sofferenza delle sue stesse creature sarebbe un dio ingiusto e crudele, dal momento che l’uomo può benissimo assicurare il suo sostentamento alimentare senza spargimento di sangue.
La realizzazione del regno di Dio passa necessariamente attraverso la pace instaurata tra gli esseri umani e tra questi e tutte le altre creature. Se l’uomo arrivasse ad abolire ogni violenza tra i suoi simili ma continuasse a torturare gli animali, a sfruttarli,a massacrarli nei mattatoi, la terra continuerebbe ad essere un inferno per gli animali e l’inferno e il paradiso non possono convivere nello stesso luogo.
L’indifferenza verso il dolore degli animali ed il conseguente disprezzo della loro vita abitua l’uomo a convivere con l’idea della violenza e della sopraffazione del più debole rendendolo insensibile e crudele anche nei confronti del suo stesso simile. Se fossi tu ad essere torturato o mutilato da qualcuno che non esita anche ad ucciderti per di procurarsi un piacere, certo non accetteresti di buon grado la legge del più forte.
Se si accetta come regola di vita la legge del “pesce grosso che mangia quello piccolo” allora occorre anche accettare di buon grado il sopruso dei prepotenti, le ingiustizie dei disonesti, la violenza dei criminali, l’oppressione degli invasori. Solo dal rispetto del sacro valore della vita e dalla capacità di condividere l’altrui sofferenza può nascere una nuova coscienza umana in grado di realizzare un mondo migliore.

lunedì 3 ottobre 2011

"La vera vita di Sebastian Knight" di V. Nabokov

Nabokov scrisse questo romanzo a Londra nel 1940, mentre viveva doppiamente in esilio, visto che, fuggito dalla rivoluzione russa nel 1917, scappava adesso anche da Berlino e dalla Germania, dove aveva vissuto per molti anni e dove il nazismo montava ormai inesorabilmente. 

Era la prima volta che Nabokov scriveva in inglese. Fino a quel momento, per le sue opere letterarie aveva utilizzato il russo, la sua lingua materna. Ricordiamoci, per inciso, che Nabokov aveva appreso l'inglese ed il francese sin da bambino. 
Il romanzo non venne pubblicato che nel 1941 negli Stati Uniti, in cui Nabokov trascorse poi quasi tutto il resto della sua vita. 

Nonostante abbia letto in giro qualche commento in cui questo romanzo viene definito "una detective story" non ho alcuna esitazione a raccontarne, anche se per sommi capi, la trama. Perchè si, è vero che si tratta di una detective story, però scritta alla maniera di Nabokov, e cioè ironicamente capovolta. 

Sebastian Knight, noto scrittore, muore prematuramente per una malattia di cuore. Il suo fratellastro si rende conto in questa occasione di averlo, in realtà, conosciuto molto poco e decide di fare delle ricerche su di lui e di scriverne la biografia. Il libro che noi abbiamo tra le mani è proprio il risultato del suo lavoro. 

Sebastian e il narratore sono nati entrambi in Russia, figli dello stesso padre ma di madri diverse. 
Allo scoppio della rivoluzione sono costretti a scappare in Francia. Sebastian, da parte sua, va a studiare a Londra e da allora i due fratelli non si incontrano che molto sporadicamente ad intervalli anche di anni. 

L'intento dichiarato all'inizio è, per il narratore, una sorta di riabilitazione di Sebastian perchè Sebastian, dopo avere ottenuto un certo successo, è al presente considerato uno scrittore oscuro, che pratica una scrittura troppo sperimentale, una personalità troppo individualista, narcisistica, estraneo alla propria epoca. "Se gli avessero detto di scrivere come Mr. Ognuno avrebbe scritto come nessuno". Il narratore, inoltre, è sempre stato attirato da Sebastian e sin dall'infanzia nutre per lui una grande ammirazione. Ma Sebastian, di sei anni più anziano di lui, "troppo giovane per essere una guida, troppo anziano perchè si possa stabilire una complicità", non ha mai voluto comunicare con lui. Tuttavia, al termine della sua vita, gli ha scritto infine una lettera con cui reclama la sua presenza. Non ha rivelato ad alcuno di essere sul punto di morire, e il suo fratellastro rimane per lui l'unica famiglia. Ma per un tragico equivoco, anche quest'appuntamento risulta mancato: il narratore si ritrova, senza saperlo, a vegliare in ospedale per una notte intera al capezzale di un altro paziente ignorando che Sebastian, invece, è morto il giorno prima. 

Il narratore scoprirà nel corso delle sue ricerche la vita di studente e gli esordi letterari di suo fratello. Incontrerà il suo "segretario", Mr. Goodman, un perfetto imbecille che è l'antitesi di Sebastian e che ne ha scritto una insulsa biografia. Cercherà anche di ritrovare la donna che per molto tempo ha condiviso la sua esistenza ed il cui nome è Clara Bishop (Bishop in inglese significa "vescovo" ed è --- leggo in una nota della traduttrice -- l'equivalente inglese dell'alfiere degli scacchi). Incontrerà anche un poeta, Sheldon, la signorina Pratt un'amica di Clara e rincorre per mezza Europa una misteriosa donna russa di cui Sebastian è stato innamorato negli ultimi anni della sua vita. Tutti questi personaggi gli forniscono elementi per cercare di comporre il puzzle della vita di Sebastian Knight in un quadro coerente, il narratore arriva perfino a farsi aiutare da un detecive professionista. Rilegge con attenzione tutti i romanzi di Sebastian dei quali uno in particolare, Oggetti smarriti contiene molti elementi biografici. 

Questo percorso di (ri)scoperta del fratellastro è vissuto dal narratore con molto humor, stupore ed ironia. La scrittura di Nabokov è, come sempre, una meraviglia di pirotecnici giochi linguistici e frasi fulminanti. Come quella di Sebastian, del quale "non [è] possibile copiare lo stile perchè il suo modo di scrivere corrispondeva al suo modo di pensare, che era un'abbagliante successione di aperture, e non è possibile scimmiottare un'apertura, perchè si è costretti a colmarla in un modo o nell'altro". 
Lo spietato ritratto che Nabokov fa di Mr. Goodman la cui "faccia rosea, larga e flaccida [...] era, ed è, singolarmente simile ad una mammella di vacca" è da antologia, e le schiere di affezionati lettori del grande scrittore russo-americano non possono non riconoscere che in questo personaggio Nabokov ha riversato tutto il disprezzo e l' avversione che nutre per i critici letterari, gli scrittori ed i biografi da lui considerati di mezza tacca. 

Ma alla fine, il narratore riesce effettivamente ad avvicinarsi al "vero" Sebastian"? A ricostruire "la vera vita di Sebastian Knight"? Una serie di ritratti e qualche sequenza di vita ricostruita sono, in realtà, un magro bottino. Il narratore è obbligato a completare il ritratto soggettivamente, comincia a esprimersi in prima persona, quello che pensa lui e quello che forse ha pensato Sebastian si confondono, e "la maschera di Sebastian [gli] rimane incollata al viso, la somiglianza non potrà esser lavata via. Io sono Sebastian, o Sebastian è me, o forse siamo tutti e due qualcuno che nè l'uno nè l'altro conosce". 

Teniamo ben presente che lungo tutto il corso del romanzo il narratore non dice mai come si chiama. L'unico indizio che Nabokov ci fornisce è l'iniziale del nome: il narratore si chiama "V." e sappiamo che non porta lo stesso cognome di Sebastian. 
Sappiamo infatti che, divenuto adulto e scrittore, Sebastian aveva adottato come cognome quello della madre da ragazza, Knight, un vocabolo che in inglese indica il cavallo degli scacchi.


Ancora una volta Nabokov gioca a scacchi. Con i suoi personaggi, e con noi lettori. Il romanzo è costituito tutto da una serie di "mosse" che il narratore fa per conoscere la vera vita di Sebastian Knight, di personaggi-pedina che vengono abilmente mossi sulla scacchiera-intreccio-tessuto narrativo ed ancora un volta, a poco a poco, i piani temporali si sovrappongono, il romanzo comincia dalla fine, e finisce ripartendo dall'inizio.
L'episodio della veglia notturna al capezzale della persona sbagliata , seppure posto nel finale, precede tutti gli altri eventi, e anzi costituisce il motore stesso della ricerca.
L'Io narrante è sempre più profondamente coinvolto nella trama e, nonostante la distanza di tempo e di spazio che lo ha sempre tenuto lontano dal fratellastro (non si sono visti per anni, abitavano in città d'Europa molto distanti tra loro) assistiamo ad un avvicinamento di identità che in alcuni momenti diventa vera e propria fusione, o meglio con-fusione.

"Io sono Sebastian, o Sebastian è me, o forse siamo tutti e due qualcuno che nè l'uno nè l'altro conosce"

Se, tra i romanzi di Sebastian riletti dal narratore, Oggetti smarriti è quello più ricco di riferimenti autobiografici espliciti, l' ultimo, L'Asfodelo incerto è forse quello che racchiude la chiave (se di chiave si può parlare) del romanzo di Nabokov che stiamo leggendo: "un uomo sta morendo: lo si sente andare a fondo per tutto il libro; il suo pensiero e i suoi ricordi pervadono il tutto in maniera più o meno nitida [...]. L'uomo è il libro; il libro stesso ansima e muore», gli altri personaggi, invece, sono solo «commenti al tema principale» e come tali hanno un ruolo marginale."

Nabokov, come scrive giustamente Manganelli nel breve ma denso saggio su questo romanzo, "è interessato non tanto alla narrazione quanto al programma, al disegno del romanzo, la sua macchina".

La conoscenza dell'altro non può forse passare che attraverso la stesura di un romanzo ma poichè noi sappiamo che per Nabokov la "parte migliore della biografia di uno scrittore non è il catalogo delle sue avventure, ma la storia del suo stile" come scriverà molti anni dopo a proposito della sua propria vita in Autres rivages (Parla, ricordo), la biografia di Sebastian Knight non può che essere la storia del suo stile.

Parafrasando lo stesso Nabokov, potremmo anche noi dire che lo scrittore Sebastian Knight è lo stesso scrittore Nabokov, il creatore dello stesso Sebastian e del suo aspirante biografo la cui iniziale "V." sta forse per Vladimir.

Il travestimento, la mistificazione, l'errore, il gioco di specchi, il fantasmatico e soprattutto la maschera sono ancora una delle caratteristiche dell'opera di Nabokov e questo libro si può leggere anche come una sorta di falsa autobiografia in cui lo scrittore  si è divertito a mescolare molti dettagli ed aspetti della sua storia personale con altri che con Nabokov c'entrano nulla.

Anche se la detective story di cui parlavo all'inizio è costellata di piste che sono come vicoli ciechi, di mosse che si rivelano false, di errori e insensatezze, se la ricerca della verità su Sebastian Knight si rivela "un brancolare senza speranza tra cose sfuggenti", anche se la conoscenza approfondita di un'altra realtà umana è irrealizzabile, e soprattutto non bisogna essere troppo sicuri di "apprendere il passato dalle labbra del presente", La vera vita di Sebastian Knight non è affatto un romanzo deprimente, tutt'altro.

Risulta invece, come ha  ben scritto Stacy Schiff, la biografa  di Véra Nabokov "uno dei libri più giocosi di Nabokov"